premio "Stabia in Versi".

È notte.
La luna, vanitosa, si specchia sul mare, ferma.
La luce d'argento si irradia luminosa e prepotente, ignava ed egoista.
La barca avanza nel silenzio ferendo le onde e il silenzio immoto.
Una speranza silente spinge i marinai ad affrontare, notte dopo notte, le insidie del mare e le labbra serrate trattengono litanie tramandate.
Una rete viene calata, un'altra e un'altra mentre l'odore salmastro di pesce, vecchio, inonda le nari, ma è un profumo familiare alla loro memoria quel lezzo penetrante, è una certezza di vita vissuta e ripetuta.
Ora l'argano stridente, nel silenzio immobile, squarcia l'udito con il suo urlo di ferro e catena, la vita è una catena, pensa il giovane marinaio immaginando di spezzare il suono e liberarsi da quegli artigli invisibili e pesanti.
La rete guizzante di vita sale piano al fianco, indifferente, della barca, bianca, che dondola ad ogni strappo di meccanico spasmo.
E lì, 'improvviso, un urlo, una imprecazione, una preghiera, tutte in una frase quasi una blasfemia potente, un parlare antico e tollerato dai nostri santi briganti.
Un raggio di luna, sfuggito di nascosto tra le ombre della notte, si adagia, sinistro e irriverente, su una piccola scarpa, rossa,  che tradisce un'assenza fatale, la Vita.
Tra il palpitare, Luminoso e guizzante, di tanti pesci perlacei e boccheggianti si fa strada un piccolo errore, un orrore umano dettato dalla fuga, dalla fame, dall'indifferenza.
L'errore è quello di aver smarrito l' umanità, l'errore è il suo compagno di viaggio, l'orrore è il non essere arrivato mai.

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