la zuppa di cozze.

C'era una volta il re a Napoli, comincia così la storia della zuppa di cozze: 
Il portone del convento si apri' cigolando rumorosamente, il frate Domenicano che uscì nottetempo aveva un'espressione corrucciata, era sensibilmente infastidito e adirato con il suo re napoletano, non bastava che fosse egli stesso un lazzarone e che ci tenesse tanto a mischiarsi con la plebe ma addirittura andare a pesca con quei miserabili pescatori era troppo, non sapeva che era pericoloso?
Ci avrebbe pensato lui a riportarlo sulla retta via, penso' Fra Gregorio mentre si tirava sul capo il cappuccio e si stringeva il mantello logoro attorno al corpo, nonostante la primavera faceva freddo quella notte, sembrava quasi che il gelo non volesse cedere il passo al tepore che arrivava in punta di piedi nel periodo pasquale. 
"Maronna mia accumpagneme tu" e con un frettoloso segno della croce, quasi fosse più un gesto aprotopaico che dettato dalla sua fede, il religioso, pingue nella sua figura, si avviò verso palazzo reale soffiando come un mantice, il suo peso lo costringeva ad affrontare ogni passo con il respiro corto. 
Era quella una notte senza luna e le stelle, forse malinconiche per l'assenza dell'astro, non riuscivano a rischiare il cammino del frate che, dopo essere inciampato più volte nei suoi passi svelti, cominciò a bestemmiare sottovoce contravvenendo così alle sue prediche giornaliere, anche lui, come la maggior parte del clero, predicava bene e razzolava male, "Mannaggia a me e che so' sciuto senza na torcia, ma forse è meglio che arrivo Co scuro accusi' chillu fetente e Ferdinando non sape che stonc arrivano, chill me accumpagnene ca fanfara quann me veren arriva' a luntan e io invece l'aggia piglia' in castagna a chillu lazzarone."
Chissà che avrebbe pensato l'ignaro Re Ferdinando se avesse potuto sentire i pensieri di questo pingue Fraticello Domenicano,  un grande ascendente sul sovrano che, oltre a temerne la tonaca, rispettava in lui il possente carattere e la sua grande cultura, il Domenicano era un grande esperto di erbe medicinali e più volte aveva curato la famiglia dei Borbone risolvendo vari acciacchi e piccoli problemi di salute con i vari elisir. 
Ferdinando, in cuor suo, sperava sempre che l'acuto alchimista potesse un giorno scoprire l'elisir di lunga vita ma in fondo in fondo temeva, senza averlo mai rivelato neanche a sé stesso, che lo potesse avvelenare con gli intrugli che lui spacciava per liquori, infatti prima di berne un solo sorso il "buon Ferdinando" ne offriva un po, in un piccolo bicchiere da rosolio, al suo cameriere personale senza che questi avessesi capito la vera intenzione del sovrano, anzi lui era onorato di condividere con il suo re questa usanza serale. 
"maestà" annunciò la guardia spalancando l'uscio dello studiolo dove il re stava gustando una sontuosa zuppa di pesce ricca di ogni ben di Dio che lui stesso aveva aiutato a pescare, era così assorto mentre succhiava una testa di gamberone che trasali' vistosamente e si rovescio' parte della zuppa sulla camicia già vistosamente macchiata di sugo, "Fra Gregorio per voi". 
Bastò sentire il nome dell'inatteso ospite per smorzare una imprecazioni colorita che stava per uscire, accompagnata dal cibo, dalla bocca di Ferdinando, si alzò in modo fulmineo pulendonsi alla bene e meglio le mani e accolse il frate con un sorriso condito al pomodoro e che profumava vistosamente di pesce e di vino. 
Già era nervoso perché l'amata sovrana, della quale temeva la collera come la peste, l'aveva confinato a mangiare da solo nello studiolo privato con la scusa che non sopportava vederlo mentre gozzovigliava e grufolava nel trocolo, "proprio comm'e' nu puorco m'a trattata chella tedesca, a me che song 'O Re" e già questi pensieri affollavano la sua mente, "chi o' sape mo a rost'a' essa tutta m'prufumata e m'bellettata, cu chi sta mangiann chella femmena tremenda" e in più era arrivato il pio Gregorio "mo che vo' stu monaco a me acchest'ora"?, insomma era proprio una serata storta per il povero monarca. 
"Maestà buonissima sera" "Hae'!" penso Ferdinado, "buona sarria stata se perlomeno puteve magna'!?!?", "qual buon vento monsignore carissimo" e cominciò così con i convenevoli di rito cercando di addolcire lo sguardo arcigno del temuto Monaco, "come mai a quest'ora frate Gregorio" e il tono assunse un'aria marziale così come  sarebbe stato se ad interrompere la cena fosse stato un'altro qualsiasi ospite, per nulla intimorito fra Gregorio continuo' con la sua filippica, " maestà sono qua in veste di consigliere spirituale e materiale, ho saputo" e fece un gesto per zittire il buon Ferdinando che cercava disperato di ultimare la conversazione per usufruire ancora un po della buona zuppa di pesce che, ricca di ogni ben di Dio, aspettava di essere sbocconcellata ancora un po'. 
"dicevo, e non mi interrompete più, che ho saputo della vostra bella avventura di oggi, ma come? Voi il re di Napoli e del regno delle due Sicilie a pesca con quei miserabili pescatori? 
Ma cosa devo sentire più? 
Voi sapete che questo non giova alla vostra dinastia e al vostro prestigio, vi parlo dal profondo del cuore, che non si ripeta più, e poi cos'è questo cibo? 
Lo sapete che dovete fare una dieta più morigerata, voi dovreste essere d'esempio per il popolo soprattutto ora che è Quaresima, parsimonia a tavola e cibo semplice per onorare nostro signore,... " e giù per ore a redarguire il re. 
E come un penitente il buon Ferdinando abbasso' lo sguardo, aveva ragione  Zi', monaco, perlomeno a Quaresima doveva dare il buon  esempio alla famiglia e al popolo, lui in fondo era il Re. 
Gregorio, paco della sua reprimenda e dopo aver avuto la promessa solenne che il monarca avrebbe rispettato la Quaresima, si accomiato' dalla regale presenza e riprese la via del convento con la scorta di un gendarme che lo avrebbe accompagnato  a dorso di un mulo per le strade solitarie e fredde. 
A quel punto, non ancora sfamato e con lo stomaco che brontolava a reclamare la cena, Ferdinando scese nelle cucine della reggia per discutere con il Monsu' di questo cambio di dieta quaresimale, gli ordino' così di fargli una zuppa di pesce povera ma saporita, sugosa al punto giusto e che rispettasse anche la vista perché per lui il cibo doveva essere anche bello, nacque così la prima zuppa di cozze che profumava di mare e che profumava di tradizione, si  perché rispettava la volontà di frate Gregorio che voleva il re più vicino al popolo nei giorni di magra dedicati al signore. 
Questa storia della zuppa povera ma buona voluta dal re arrivò subito al popolo attraverso il tam tam della servitù che diffuse la grossa novità nata nelle cucine di palazzo e così anche il popolo decise di provare la "ZUPPA di cozze" del re ed è da allora che è entrata nelle tradizioni partenopee più pure quella di onorare il giovedì santo con questa pietanza saporita dedicata al signore. 
E noi ancora oggi onoriamo Ferdinando primo di Borbone che con il buon esempio ci ha insegnato che una buona zuppa può essere anche una pietanza quaresimale che eleva lo spirito senza offendere il clero. 
Buon appetito Re Ferdinando. 



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